Langues
Il Culatello di Pontiggia
Giuseppe Pontiggia (1934-2004) è uno dei maggiori scrittori italiani del secondo dopoguerra. La sua scrittura è caratterizzata dalla tensione per la brevitas. Ne nascono racconti fulminanti, intelligenti, originati spesso da occasioni del vivere quotidiano, che hanno fatto di Pontiggia un maestro del genere a livello internazionale. La brevitas plasma anche il suo lavoro di lettore e critico acuto e profondo: in testi prima pubblicati sui giornali e poi raccolti in volume di grande successo come Il giardino delle esperidi o I contemporanei del futuro, il lavoro di bulino e di lima raggiunge livelli di alto valore etico, civile e letterario.
Il culatello, il principe dei salumi, è al centro di questo raccontino poi raccolto in Prima persona, pubblicato da Mondadori nel 2003. Sottilmente ironico, lascia che la realtà sveli tutta la sua ipocrisia con un attento gioco di stile.
Dame animaliste a tavola
Cena ufficiale. La commensale alla mia destra chiede a quella di fronte:
«Hai visto il menu?»
«Si.»
«Come ti regoli per l’antipasto?»
«Niente culatello!» le risponde l’altra, alzando il dito. «Prenderò le tartine.»
«Ma è la specialità del posto!» insiste la prima signora, soavemente.
«Tu agisci come credi» la sfida l’amica. «Siamo due persone libere.»
«Prenderò il culatello» sospira la signora, sorridendo all’idea di commettere un peccato. Paffuta, ma prossima al declino, mostra un corruccio scherzoso che immagino, qualche decennio fa, irresistibile.
«Posso fare una domanda indiscreta?» intervengo. «Qual è il problema del culatello?»
«Siamo animaliste» risponde la signora alla mia destra. «Io però non so resistere.»
«Perché sei incoerente!» la rimprovera l’amica. Deve essere un teatrino collaudato dalle repliche, come avviene nelle coppie più tenaci.
«Ma perché il culatello?» chiedo, sapendo di apparire sprovveduto.
«Carne di maiale» mi fissa la più intransigente. «Noi non mangiamo carne. Mangiamo verdura, frutta, formaggi, pasta, riso.»
«È come un divieto religioso.»
«Più forte» replica lei, posando la destra sul manico del coltello. «Lei rispetta tutti i divieti religiosi?»
E senza aspettare risposta, aggiunge fiera: «Questa è la religione della vita.»
L’altra la ascolta con ammirazione apprensiva. Dice, guardandola sottecchi e cercando di ammansirla: «Questo maiale però è ormai morto.»
«Non cominciare, ti prego!» Si tocca il pizzo che le ricopre il petto scarno. «Tu ti lasci corrompere troppo facilmente!»
«Infatti» annuisce l’altra. Cerca in me un alleato: «Lei non avrebbe dubbi, vero, sul culatello?»
«Da queste parti è il migliore» rispondo, ricambiandola con una simpatia intensa.
«Non faccia il cinico alle nostre spalle» commenta l’amica, che ha acquistato un’aria più indulgente. Si vede che la mondanità sta ricuperando sulla ideologia – ovvero una ideologia vince su un’altra (per chi pensa siano scomparse). Aggiunge: «Lei non fa parte del nostro gruppo. Può permettersi il culatello che crede.»
«Siete un gruppo?» chiedo. «Ma certo!» esclama. «Ci incontriamo, confrontiamo le esperienze, elaboriamo nuove strategie non contro gli animali, ma per gli animali.»
Non ha più l’occhio vagamente allucinato di prima. I fanatici non sono gli unici convinti di possedere la verità (quasi tutti ne sono convinti), sono solo i più terrorizzati di perderla.
«Sa che un decennio fa avevo scritto una cosa, a proposito delle zanzare?» le dico, tentando una diversione. «E cioè che quando le si uccide non ci si preoccupa del loro percorso esistenziale.»
«Noi non uccidiamo le zanzare» commenta lei gelida.
«Veramente?» la guardo stupefatto.
«Sì, usiamo le zanzariere» interviene la signora alla mia destra. «Perché ucciderle, povere creature?»
Io accenno allora brevemente, forse per vendicarmi, all’accanimento con cui le inseguo nelle camere estive (quella di casa mia è un fortino). Alla gioia sfrenata quando le schiaccio. Qualcosa di contiguo, immagino, al piacere di un omicidio a lungo covato.
«Non mi stupisce» osserva l’amica. «Perché?» le chiedo. «Basta guardarla mentre racconta» risponde. «Lei ha l’occhio del fanatico.»
Accuso il colpo, sorrido. Vorrei reagire, ma i millenni incombono su questa tavola con una mole rovinosa di sentimenti, di idee, di grida, di appelli, di silenzi.
Un cameriere si inchina verso la commensale alla mia destra:
«Ha già scelto, signora?»
«Sì!» esclama lei rapita, sottraendosi ai millenni. «Culatello!»
Ricetta per un primo piatto di tagliolini al culatello e Parmigiano Reggiano
A molti puristi usare il culatello per un primo piatto può sembrare assurdo. In realtà i sapori forti del culatello di 36 mesi possono rivelarsi un ottimo condimento per i tagliolini con burro e Parmigiano Reggiano. Alcuni gastronomi consigliano i ritagli o addirittura la parte finale del salume, quando si può tagliare con il coltello la parte che non si riesce più a tagliare con l’affettatrice. Un modo di riciclare un salume che costa parecchio. Un piatto decisamente parmigiano, non c’è che dire.
Ingredienti per 4 persone
350 g di tagliolini freschi
200 g di culatello
100 g di parmigiano
80 g di burro
2 mestoli di brodo di carne
10 foglie di salvia.
Il brodo di carne, meglio se di terza, è ciò che fa la differenza nella cottura dei tagliolini, che non devono essere fatti necessariamente a mano. È una ricetta semplice dai sapori intensi, molto emiliani. Potete anche mantecare con l’acqua di cottura, come si fa di solito, ma ovviamente non avrete lo stesso risultato.
Prendete il culatello, preferibilmente di 36 mesi, perché più stagionato e più secco, tagliatelo a striscioline e rosolatelo in padella con metà del burro e la salvia tritata. Quando questo è croccante al punto giusto toglietelo dalla padella. Aggiungete nella padella il restante burro e il brodo e lasciate a fuoco lento perché il burro si fonda. Nel frattempo buttate i tagliolini in acqua salata, scolateli direttamente nella salsa ottenuta e mantecate bene con il Parmigiano. Fate attenzione a non far asciugare troppo, deve risultare morbido e cremoso. Questo è lo scopo del brodo, che darà appunto il risultato di una salsa.
Impiattate, cospargete con il culatello e il Parmigiano. Fate un giro di pepe a piacere e servite. Alcuni amano abbellire il piatto con fette di culatello di 24 mesi a forma di rosa. Sono bellissime e stupiscono il commensale.
Curiosità. Burro o non burro?
Se vi capita di andare in un buon ristorante della Bassa, nelle trattorie o negli agriturismi, potrete trovare il culatello di 24 e 36 mesi servito con alcuni riccioli biondi di burro, spesso di color panna se di grande qualità. I puristi mangiano il culatello con le mani dopo averlo attentamente annusato, per cogliere i sapori di castagna, di muffe e di cantina che rendono sublime questo salume. Altri, invece, amano accompagnarlo con un poco di burro spalmato su pane appena sfornato, con la mollica morbida e la crosta croccante. «Il burro quando è davvero buono, esalta il sapore del culatello!». E se lo dice Alberto Guareschi, che ha gestito il ristorante aperto dal padre Giovannino per quasi trent’anni a Roncole Verdi, di fronte alla casa natale di Giuseppe Verdi, c’è da credergli. Bisogna provarlo in entrambi i modi. Ognuno seguirà il proprio gusto. E dimenticatevi del colesterolo.
Published in
La rubrica tratta di temi gastronomici della nostra terra visti attraverso l'occhio e la penna di scrittori antichi e moderni che hanno contribuito a creare il mito dei prodotti del nostro territorio. Un'indagine letteraria e storica che affonda le sue radici nella capacità degli autori di raccontare il cibo, il vino e la cultura dello stare a tavola.
About the author
Guido Conti
è scrittore ed editore. Ha pubblicato numerosi romanzi e raccolte di racconti tra cui ricordiamo Il coccodrillo sull'altare (Premio Chiara 1998), I cieli di vetro (1999) finalista al Premio Campiello. Con Mondadori ha pubblicato Le mille bocche della nostra sete (2010), tradotto in Olanda e Spagna e Il grande fiume Po (2012). Nel 2014 ha esordito con un libro per l'infanzia Il volo felice della cicogna Nilou (Rizzoli), in fase di traduzione in Spagna, Grecia e Corea del sud. Nel 2014 ha pubblicato in allegato con il Corriere della Sera dodici volumi sul leggere per imparare a scrivere, dedicati a 12 grandi della narrativa mondiale.